Lo sviluppo di un territorio, la messa in valore delle sue eccellenze, la possibilità di attrarre investimenti e creare di conseguenza occupazione e ricchezza, passa attraverso una serie di presupposti indispensabili: stabilità della situazione politica e legislativa, possibilità di interazione con la pubblica amministrazione in maniera semplice, trasparente e continuativa, e capacità di avviare un percorso partecipato con gli stakeholder territoriali.
Forse non è proprio quello a cui siamo abituati in Italia.
Osservando la situazione che si è venuta a creare in questi ultimi dieci anni nel nostro Paese è infatti evidente che le cause legate al calo degli investimenti infrastrutturali ha delle origini che vanno al di là della crisi economica dell’ultimo periodo. Le cause, completamente slegate da aspetti economici, sono da ricercarsi in una serie di evidenze che disincentivano l’arrivo di nuovi capitali, in particolare dall’estero.
Un elemento centrale è la mancanza di certezza del diritto, che si traduce di fatto in una serie di norme che vengono modificate con nuove Leggi a un ritmo che è troppo rapido per chi investe. In questo modo per modifiche della legislazione in corso d’opera le infrastrutture vengono bloccate o ritardate. Un esempio su tutti: le tre modifiche del conto energia per le rinnovabili in meno di due anni (dall’agosto 2010 al luglio 2012) che hanno bloccato gli investimenti nel settore. Inoltre il numero di norme presenti nel nostro Paese, oltre a richiedere uno studio continuo per non rischiare di incappare in situazioni “fuori leggeâ€, complica la macchina burocratica appesantendola a volte in maniera inutile. Senza contare infine che, molto spesso, le normative nazionali vengono modificate a livello regionale, confondendo ancora di più i potenziali investitori.
Un secondo punto è legato agli iter burocratici che vedono coinvolti molto spesso troppi soggetti che, oltre a rendere faraginose le procedure, moltiplicano i passaggi in maniera inutile. I tempi delle autorizzazioni necessarie per l’investimento, che sono definiti per Legge, in questo modo non vengono praticamente mai rispettati e ciò è molto difficile da far comprendere in particolare a investitori internazionali abituati a lavorare in tutto il mondo con tempi certi indicati dalla normativa vigente. In Italia si osservano infatti tempi “biblici†per l’ottenimento di un’autorizzazione: ad esempio 7 anni per completare l’iter per la perforazione di un pozzo esplorativo di idrocarburi, oppure 5 anni per ottenere un’autorizzazione per la realizzazione di un impianto per la produzione di energia da fonti fossili.
Il terzo elemento di criticità è la conflittualità politico/amministrativa tra centro e periferia: infrastrutture autorizzate a livello centrale vengono contestate e nel migliore dei casi rallentate dalle amministrazioni locali, generando conflitti che pian piano si allargano ad altri stakeholder territoriali se non gestiti in tempo.
E qui molto spesso nasce un ulteriore problema: l’amministrazione locale che dovrebbe essere il soggetto centrale nell’organizzazione di un percorso partecipativo per coinvolgere il territorio in un progetto che lo interessa, spesso si mette di traverso o sta alla finestra senza far niente. E in questo modo l’opposizione alla nuova infrastruttura si diffonde.
Il ruolo della pubblica amministrazione locale dovrebbe essere invece quello di analizzare, scevra da condizionamenti ideologici, un determinato progetto, valutarne i benefici per il territorio, evidenziare le criticità e farsi motore per il coinvolgimento degli stakeholder territoriali in un percorso di condivisione partecipata per affrontare tutti gli aspetti del nuovo progetto, nell’ottica di un mutuo beneficio sia per il territorio sia per chi investe. Questo processo, oggi indispensabile,  va incontro alla crescente richiesta dei cittadini di essere coinvolti nelle decisioni che li riguardano. E anzi, sempre di più è necessario costruire dei progetti che prevedano delle iniziative “valoriali†associate, in modo da far crescere sul territorio progetti in grado di portare un valore aggiunto all’infrastruttura nascente.
Come già evidenziato purtroppo in Italia siamo in ritardo. Ma non dappertutto. Nel corso dell’incontro di presentazione del Rapporto Orti “La Toscana che collabora†il 10 marzo scorso a Firenze, è stato evidenziato da diversi interlocutori come in Toscana il meccanismo si sia già messo in moto e come le amministrazioni pubbliche e gli investitori privati dialoghino e presentino al territorio progetti che alla fine si realizzano, a dimostrazione che un nuovo modo di procedere non è solo teoria ma può portare a risultati interessanti. La Toscana è infatti al nono posto tra le prime dieci regioni d’Europa per strategia di attrazione di investimenti dall’estero nel biennio 2014-2015 e al primo posto tra le dieci regioni dell’Europa meridionale.
Un modello da copiare!
Leggi il mio articolo su Osservatorio Orti.