Sull’utilizzo dell’acronimo Nimby – Not in my backyard – vanno fatte alcune precisazioni: il termine Nimby in senso stretto si riferisce a fenomeni di dissenso verso opere o interventi che sono riconosciuti di interesse pubblico, ma ai quali viene attribuito un impatto locale di tipo negativo. A ben vedere questo modo di prendere le cose assume, agli occhi dell’opinione pubblica, un dissenso di tipo egoistico.
In senso più ampio si può invece qualificare come Sindrome di Nimby la maggioranza dei conflitti legati all’opposizione ai nuovi progetti. Proprio partendo dal termine “sindrome”, che identifica una serie di sintomi legati ad una determinata patologia, si può trasporre il concetto ai conflitti di tipo territoriale. La Sindrome di Nimby diventa quindi l’insieme dei sintomi che raggruppano la volontà di un gruppo, più o meno grande di cittadini, di non vivere nelle vicinanze di ciò che viene considerato dannoso per l’ambiente, per la salute, per la qualità della vita, o ancora che non si ritiene utile.
Si possono ricondurre alla Sindrome di Nimby quattro sintomi in particolare:
- quando il processo di pianificazione territoriale viene imposto a livello locale;
- quando il progetto genera delle preoccupazioni a livello sociale;
- quando il progetto induce degli effetti ambientali o dei pericoli a livello locale;
- quando il progetto non viene giudicato utile in quello specifico contesto territoriale.
L’acronimo Nimby è sicuramente il principale e il più utilizzato tra quelli che identificano il fenomeno delle contestazioni a progetti locali, ma non è il solo utilizzato negli studi sociologici, in quelli delle politiche pubbliche o economici.
Nell’analisi storica del fenomeno troviamo infatti i seguenti acronimi:
- LULU: Locally Unwanted Land Use
- BANANA: Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anything.
- NOPE: Not On the Planet Earth
- CAVE: Citizens Against Virtually Everything
- NIABY: Not In Anyone’s Back Yard
- NIMTO: Not In My Term of Office
- YIMBY: Yes In My Back Yard
- PIMBY: Please In My Back Yard