Negli ultimi mesi si sta affrontando sui media se sui social il problema della salute degli oceani. Ci si è – finalmente – accorti che la plastica che usiamo in maniera indiscriminata tutti i giorni finisce prima o poi nel mare e, visto che galleggia, forma delle isole grandi quanto intere nazioni. Non solamente ma la microplastica derivante dalla frantumazione degli oggetti in plastica o contenuta in alcuni prodotti di uso comune, come ad esempio molti cosmetici, finisce direttamente nei tessuti degli organismi acquatici e in particolare in quelli marini. Da recenti studi, questi frammenti di plastica di grandezza infinitesimale sono stati rilevati nel 73% dei pesci mesopelagici (quelli che vivono tra i 200 e i mille metri di profondità) dell’oceano Atlantico nordoccidentale. Per gli scienziati si tratta di livelli tra i più alti al mondo finora registrati.
Senza contare che la plastica galleggiante può provocare la morte di organismi più grandi, come è stato recentemente il caso di un capodoglio arenatosi sulle coste spagnole, nel cui stomaco sono stati trovati circa 30 kg di plastica.
Ma il tema della salvaguardia degli oceani non è limitato solamente al problema della plastica. Vista la sua vastità, il mare è stato sempre considerato come una fonte inesauribile di risorse e un contenitore “senza fondo” dove poter sversare qualsiasi sostanza. Questo atteggiamento ha impoverito gli oceani, messo a repentaglio la vita marina e rischia di produrre danni irreversibili per le popolazioni umane che vivono affacciate sulle coste.
Alcuni dati fanno capire la dimensione del problema e il grido di allarme lanciato dagli scienziati: il pescato sta aumentando con la crescita della popolazione. Secondo la FAO dal 1960 al 2015 si è passati da circa 30 milioni a oltre 80 milioni di tonnellate di pescato al mondo. L’aumento della CO2 in atmosfera porta a un suo maggiore assorbimento nei mari con la conseguenza di una maggiore acidificazione delle acque; questo fenomeno sta ad esempio portando a un rallentamento nella costruzione delle barriere coralline che sono gli habitat con la maggiore biodiversità sul Pianeta assieme alle foreste tropicali. Le sostanze tossiche, continuamente sversate nei fiumi e nei mari, portano a un aumento della loro concentrazione nella catena alimentare, e spesso li troviamo sulle nostre tavole. L’aumento di temperatura degli oceani, dovuto ai cambiamenti climatici, sta portando a un innalzamento del livello dei mari, alla scomparsa di molte specie marine e alla modifica del corso delle correnti oceaniche.
Purtroppo il tema della tutela dei mari e degli oceani è stato ed è tuttora poco considerato nelle politiche dei Governi di tutti i Paesi. Oggi, partendo da qualche timido accenno in merito al problema della plastica – ricordiamo ad esempio che l’Unione Europea ha messo al bando gli imballaggi in plastica dal 2030 – si auspica che ci sia una presa di coscienza collettiva nella tutela del mare a 360°.
Tutti possiamo fare la nostra parte: non abbandonare rifiuti di qualsiasi natura, non solo di plastica, sulle spiagge: prima o poi finiranno in mare; utilizzare e riutilizzare più volte ciò di cui abbiamo bisogno; non versare sostanze dannose in mare – “tanto cosa vuoi che facciano pochi litri” – perché queste sostanze “ce le mangiamo”; spiegare ai propri figli – o ai propri genitori – che determinati comportamenti virtuosi non sono una moda del momento ma possono servire a ridurre la pressione che stiamo esercitando sempre di più sull’ambiente che ci circonda.
Infine, visto che si usano in maniera continua e per far circolare qualsiasi notizia, perché non creare una campagna virale sui social network a difesa del mare e degli oceani?
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