È stata pubblicata nel dicembre scorso l’ottava edizione della Survey sulla rendicontazione di sostenibilità a livello globale realizzata da KPMG. Lo studio prende in considerazione, nella prima parte, le 100 maggiori aziende in ognuno dei 41 Paesi analizzati (in totale 4.100 report), mentre nella seconda sezione viene analizzata la qualità dei report delle 250 maggiori aziende al mondo, scelte tra le prime 500 nella classifica stilata da Fortune nel 2012.
La prima impressione nella lettura del rapporto è che sempre più realtà includano nella loro reportistica temi sociali e ambientali. In termini globali, nel 2013 c’è stato infatti un importante incremento nella realizzazione dei report di sostenibilità in particolare nei Paesi emergenti, con un incremento del 22% negli ultimi due anni, passando dal 49% nel 2011 al 71% nell’ultimo anno. Tra le nazioni in cui si è visto l’aumento maggiore, l’India con 53%, il Cile (46% ), Singapore (37%), Australia (25%), Taiwan (19%) e Cina (16%).
Un secondo dato significativo, evidenziato da KPMG, è che un numero sempre maggiore di aziende a livello globale include nel report finanziario anche indicazioni legate alla sostenibilità , anticipando di fatto, e in maniera del tutto volontaria, il “Report integrato†di cui ormai si parla apertamente da qualche anno. Oltre la metà delle 4.100 aziende analizzate (51%) ha incluso infatti nel 2013 indicazioni sulla sostenibilità ambientale e sociale all’interno del proprio bilancio finanziario, contro il 20% nel 2011 e solo il 9% nel 2008. Una tendenza che indica l’interesse sempre maggiore delle aziende a rendicontare questi aspetti sempre più importati per i propri stakeholder, anche per quelli del settore economico-finanziario.
La qualità dei report di sostenibilità nelle 250 imprese analizzate nella seconda parte del documento di KPMG, appartenenti a 14 settori produttivi e operanti in 30 Paesi, evidenzia come nel 78% dei casi lo standard di riferimento sia quello del Global Reporting Initiative, e che più della metà di essi (il 59%) sottopongono a audit di terza parte il proprio report. Quest’ultima indicazione sottolinea come la validazione del report non sia più solo una semplice opzione, e come la certificazione possa dare maggiori garanzie sulla corretta gestione degli indicatori e sui contenuti del report stesso.
Per valutare la qualità dei rapporti di sostenibilità sono stati presi in esame diversi parametri, quali le materialità , il tipo e il numero degli indicatori, il rapporto con i fornitori, l’engagement degli stakeholder, la governance e la trasparenza. Qualche dato: tra i settori produttivi, quello dell’elettronica e dei computer, quello estrattivo e quello farmaceutico hanno avuto il rating migliore (75/100 il primo e 70/100 gli altri due). Settori invece con impatti ambientali o sociali sicuramente elevati, come l’Oil & Gas, quello per la lavorazione dei metalli o delle costruzioni hanno avuto un punteggio relativamente basso (circa 50/100), evidenziando che ci sono ancora importanti passi da fare per il loro miglioramento.
Un dato che ci fa onore: l’Italia presenta, tra le differenti nazioni, la qualità più alta nei report di sostenibilità con un voto di 85/100, mentre la Cina la più bassa, 39/100. Nei processi di rendicontazione, le aziende hanno prediletto gli obiettivi e gli indicatori di sostenibilità e di materialità , mentre quelli relativi alla catena di fornitura, alla governance e ai processi di stakeholder engagement  sono ancora insufficienti e le aziende devono migliorare i processi in questi ambiti.
La ricerca di KPMG mette comunque in evidenza come la rendicontazione della sostenibilità sia un processo in grado di sottolineare gli sforzi e le iniziative delle organizzazioni per interiorizzare le politiche socio-ambientali e farne un importante elemento di governance. Mettere nero su bianco gli indicatori numerici, in grado di dimostrare le performance dell’organizzazione nei diversi ambiti di riferimento, è oggi un elemento distintivo per affermare la propria reputazione e coinvolgere gli stakeholder in maniera molto più incisiva di come veniva proposto fino a pochi anni fa con semplici iniziative di pubbliche relazioni.
A patto ovviamente che i numeri siano veri. Ma per questo ci sono gli audit specifici