Il 24 giugno l’esito del referendum “Brexit”, con cui la Gran Bretagna doveva scegliere se rimanere o lasciare l’Unione Europea, è stato “Leave”. Questioni politiche ed economiche a parte, cosa significa questa decisione per il mondo scientifico?
La situazione è ben espressa in articolo pubblicato dal biologo Stephen Curry sulle pagine del Guardian lo scorso aprile che titolava “The scientific impact of Brexit: it’s complicated”. In effetti la situazione è complicata e sicuramente è ancora difficile elaborare scenari sulla ricerca per il dopo Brexit.
Le reazioni della comunità scientifica sono state differenti e in alcuni casi contradditorie.
Una lettera pubblicata il 10 giugno scorso sul Telegrah, firmata da 13 premi Nobel inglesi, fra cui Peter Higgs, gli scienziati inglesi non hanno dubbi sulle eventuali cattive conseguenze della Brexit sulla possibilità di collaborazione internazionale e dunque sulla qualità della ricerca scientifica made in Europe. Una preoccupazione che emerge anche da una nota della Royal Society, che in suo appello auspica che Brexit non si traduca in una serie di tagli alla ricerca. “In primo luogo, l’aumento dei fondi ha innalzato notevolmente il livello della scienza europea nel suo insieme e del Regno Unito in particolare, perché noi abbiamo un vantaggio competitivo. Secondo, [restare nell’Unione] ci dà la possibilità di reclutare molti dei nostri migliori ricercatori dall’Europa continentale, inclusi quelli più giovani che hanno ottenuto fondi europei e hanno deciso di portarli con sé trasferendosi qui. Essere in grado di attirare e finanziare gli europei più talentuosi garantisce il futuro della scienza britannica ed incoraggia i migliori scienziati a venire qui ovunque si trovino”, si leggeva nella lettera.
Nelle settimane prima del referendum la Camera dei Lord inglese ha provato a capire quanto potrebbe impattare economicamente la Brexit sulla ricerca inglese. I dati pubblicati in un rapporto evidenziano la dipendenza della ricerca britannica dai finanziamenti europei: il Regno Unito ha preso negli ultimi anni dall’Europa molto di più di quanto ha dato. La Gran Bretagna ha contribuito per quasi 4,3 miliardi di sterline per i progetti di ricerca UE 2007-2013, ma ha ricevuto quasi 7 miliardi nello stesso periodo. Un saldo positivo – scrive il Guardian – di 2,7 miliardi di sterline, pari a 300 milioni di sterline all’anno). Il finanziamento della ricerca britannica dipende solo per il 3% da fondi UE. Inoltre secondo il rapporto Brexit potrebbe significare mancanza di una regolamentazione omogenea nel continente su ambiti strategici della ricerca scientifica attuale, come la questione degli OGM.
Su questa linea anche Clive Cookson, Science Editor del Financial Times, secondo cui a pagare maggiormente le spese di questa scissione saranno le Life Sciences, le scienze della vita.
L’uscita dall’Unione Europea costringerà inoltre il Regno Unito a rinegoziare la propria partecipazione a programmi come Horizon 2020 e Galileo. Horizon 2020 rappresenta la più grande iniziativa di sempre in ambito comunitario per la ricerca e l’innovazione, con fondi per 80 miliardi di euro nell’arco di sette anni da dedicare a questo scopo. Una fetta significativa di finanziamenti è riservata a vari progetti del settore spaziale, ed ora il Regno Unito potrebbe non avervi più accesso.